Real Madrid: Bloodsuckers | Flash Art Italia

Sep 01 2022


Real Madrid Bloodsuckers Swiss Institute

Esistono almeno tre modi di intendere il nome Real Madrid. Il primo è ovviamente il titolo registrato della squadra di calcio spagnola. Il secondo è la città di Madrid: quella reale, quella vera. Il terzo allude alla Madrid monarchica, coronata, regale.

Esiste poi un collettivo di artisti formerly known as… che per recenti questioni legali è oggi noto solo come RM, il quale si colloca tra la cruda realtà e un senso di regale distacco. Madrid resterà invece un mistero. A comporre questa squadra non calcistica ci sono certamente due entità, che sembrano fare della bipartizione un elemento costitutivo.

Chacun pour sa gueule, ognuno per sé –o letteralmente ognuno per la propria gola– è il motto che il duo disegna durante una residenza all’Istituto Svizzero di Roma nel 2020; un motto che viene diviso in due parti, Cha pour g / cun sa ueule, e impresso su due ciondoli che uniti compongono un unico cuore. Separati, invece, restano due cuori spezzati, ciascuno agganciato alla propria collanina, ciascuno recante il proprio messaggio indecifrabile. Comunque vada, il più banale dei simboli romantici viene qui condannato al cinico individualismo: quello criptico della parte, e quello dichiarato del tutto. L’unione fa la forza: quella della disgregazione.

Ai platonici incontri delle due metà, RM rispondono con un prosaico disincanto dato dalla consapevolezza che la relazione è sempre un rischio. Il rischio concreto di portare a casa la pelle. In “Bloodsuckers”, mostra personale del duo allo Swiss Institute di New York (2022), la salute psicofisica della coppia è messa alla prova dalle cimici da letto, minuscoli parassiti estremamente infestanti che si annidano e riproducono al caldo delle lenzuola. Minando la sanità dei materassi e dei loro abitanti umani, le cimici si intrufolano, bucano, pungono, infettano le superfici e le pelli, trasformando il regno del riposo e dell’intimità in uno luogo infernale. Negli spazi del centro d’arte, un nastro trasportatore da lavanderia ruota incessantemente. Al posto di giacche e camicette, sul macchinario scorrono le cifre di un orologio digitale che, a intervalli di cinque minuti, scandisce il tempo di notti senza fine.

Il rumore e il movimento metallico del nastro trasportatore accompagnano il susseguirsi dei numeri, caricando i segni digitali di una gravità fisica inarrestabile e monotona. Attorno all’apparecchio, tre cimici da letto stilizzate e scolpite nel legno si presentano nella forma di giochi a molla infantili, come quelli che i bambini utilizzano al parco. Alle pareti, candidi set di lenzuola e federe vengono decorate da centrini cuciti all’uncinetto, lasciando trasparire le sagome di corpi umani insonni e irrequieti.

Il malessere che i piccoli parassiti sono in grado di generare nelle vittime delle loro infestazioni rinvia alla forma strisciante della malattia nella società contemporanea. Una malattia relegata alla sfera personale e accompagnata dallo stigma, anch’esso strisciante, di vivere in condizioni economico- sanitarie al di sotto di una certa soglia: la soglia del tutto percettibile, ma vergognosamente nascosta, che divide chi sta ancora e sempre meglio da chi cerca di stare al mondo.

RM ribalta questa disparità con l’orgoglio di sentirsi gente di mondo, capace di convivere e persino di ridere della malattia così come delle alterne vicende della vita. È con questo stesso spirito che il duo allestisce Postoristoro (2021) negli spazi del Centre culturel suisse di Parigi.

“Al Posto Ristoro ci si dimentica piano piano di tutto perché la vita è davvero vita cioè una porcheria dietro l’altra e allora è come sbattere giù merda ogni giorno che poi ti dimentichi che fa schifo, e ne diventi magari goloso”. Così in Altri Libertini Pier Vittorio Tondelli descriveva un bar di provincia sempre aperto che sul finire degli anni Settanta, nel pieno delle rivolte operaie, delle lotte contro la repressione sessuale e della crisi dell’eroina, fungeva da punto di incontro per coloro che si muovevano e si sentivano ai margini della società.

Il demi-monde di Tondelli viene preso in prestito da RM per diventare installazione. Due postazioni per un virtuale ristoro si compongono di banconi circolari dotati di plastiche coperture argentate: come ombrelloni, creano sotto di sé delle aree riparate. Attorno a essi, è disposta a parete una serie di quattro vassoi rossi recanti la silhouette nera di un cupido intento a lanciare i propri strali. A intercettare le traiettorie impalpabili dei dardi, in un angolo della stanza, uno specchio circolare composto di cerchi concentrici neri: un bersaglio per il tiro a segno. Su un’altra parete, invece, sistemate su una mensola, immagini ritagliate di siringhe altrettanto appuntite si sovrappongono le une alle altre in una serie di sette sculture sferiche intitolate High Society (2021). Nelle composizioni di RM l’immaginario spaventoso della siringa d’eroina anni Ottanta si mescola con quello clinico-curativo delle siringhe dei giorni nostri, concentrando così sentimenti opposti di paura e controllo in un unico oggetto.

Nel rimescolamento di questi due poli, per tramite di un sentimentalismo ironico, si struttura la strategia di adattamento di RM alle condizioni odierne di vulnerabilità e malattia. Non è un caso che uno degli episodi fondativi nella storia del duo sia stato la partecipazione a “United by AIDS—An Exhibition about Loss, Remembrance, Activism and Art in Response to HIV/AIDS”, tenutasi al Migros Museum di Zurigo nel 2019. Curata da Raphael Gygax, la mostra riuniva Lyle Ashton Harris, Judith Bernstein, General Idea, Nan Goldin, Félix González-Torres, Gran Fury, Zoe Leonard, Wolfgang Tillmans, e altri artisti che a partire dagli anni Ottanta hanno combattuto lo stigma sociale sofferto dalla comunità di cui anche loro facevano parte. Accanto all’estetica della protesta, che trovava in ACT UP il proprio paradigma, nel percorso espositivo se ne poteva individuare un’altra che chiameremo romantico- sentimentale, la quale ebbe la funzione di umanizzare soggettività altrimenti considerate abiette o mostruose. Si pensi, tanto per citare un esempio banale, al modo in cui González-Torres simboleggiò l’insopportabile esperienza della morte attraverso oggetti formalmente innocui, strumenti e stilemi concettuali usati per rendere meno oscene le emozioni del lutto.

Osservando l’opera di RM viene naturale pensare che la strategia sia la stessa. Identico è infatti il rapporto allacciato con lo spettatore, allo stesso tempo sentimentale e impersonale, confidenziale e respingente. A quarant’anni di distanza, tuttavia, bisogna chiedersi se la funzione di questa strategia sia altrettanto rimasta la stessa, mancando la tragica certezza della perdita. Oggi, di certe malattie, si muore un po’ meno.

Proprio all’interno di “United by AIDS” il duo presenta un’opera che sembra proprio un omaggio a González-Torres: It’s My Party and I’ll Die If I Want to (2019). In una delle sale del museo, RM realizza una sorta di edicola scomposta, forse abbandonata, fatta di un dispenser per giornali vuoto e di una tendina da sole in plastica sotto la quale delle piccole teche in plexiglass contengono alcuni pacchetti di sigarette di marca Timeless Time e di gomme da masticare No-Time. Sul piano delle teche trasparenti, una targhetta raffigurante la vignetta di un omino malconcio recita “Man, you’re sick_sick_ sick!”. Poco più distante, su uno sgabello di metallo, un contenitore in vetro con le fattezze di un volto deformato dispensa degli snack al cioccolato sulle cui confezioni sono riportate le parole Time Out. Sembra quasi che quello di RM sia un prolungamento ulteriore della pratica di González-Torres, in una moltiplicazione di elementi oggettuali e micro-narrativi.

Dell’artista cubano torna anche l’amore per il doppio e lo sdoppiamento così come quello per il piccolo dono senza valore. Nel 2020, alla Salle Crosnier di Ginevra, il duo presenta una mostra intitolata “I think I gave you …”, che sembra suonare come un’affermazione di generosità all’interno di una relazione interpersonale, ma che invece notifica la probabile trasmissione di una malattia venerea. Il titolo del progetto è anche il messaggio impresso sul retro delle cartoline che accompagnano la mostra, composte da ritagli di giornale che, sul fronte, nello stile delle lettere anonime, formano la frase “you might wanna get checked”. Il vago turbamento dato da questo messaggio si traduce plasticamente nella rappresentazione di una giovinezza sfiorita, resa dalla presenza nello spazio espositivo di due grandi ciliege in tessuto semi-sgonfie. Oltre a non essere in tensione, l’ingombrante scultura gonfiabile mostra sulla superficie una serie di macchie di colore, come se i due frutti raffigurati fossero marcescenti. Lasciati su una scatola di cartone, contrappunto alle due ciliegie, ci sono poi due paia di occhiali la cui montatura è fatta di filo metallico. Sulle quattro lenti, che sono in realtà piccoli schermi, passano alcune sequenze video di adolescenti che ballano in gruppo. Queste immagini di salute e spensieratezza si contrappongono al presagio di decadimento che pervade la mostra. Lo spettro della malattia segna allora il rito di passaggio all’età adulta, decretando la fine irreversibile dell’eterna giovinezza e del suo mito.

Ci si chiede a questo punto se la malattia cui gli artisti alludono sia l’AIDS. Una possibile risposta sembra arrivare al di fuori della scrittura di questo testo, quando in una conversazione informale ci dicono “oggi siamo piuttosto United by Gonorrhea”.

Si tratta ovviamente di una battuta, ma c’è forse qualcosa di rivelatorio. La crisi dell’AIDS è oggi molto meno violenta che trent’anni fa. Questo non vuol dire che il virus dell’HIV sia stato debellato, ma che, come accade per altri organismi quali appunto il batterio neisseria gonorrhoeae, si stanno profilando forme più personali di convivenza e adattamento. RM ci parla in fondo del regime di management individuale in cui sono entrate malattie un tempo mortali, così come dei risvolti psicologici che questo management comporta.

A differenza del Covid-19, gran parte dei virus e dei batteri che ammorbano le nostre società è relegata, proprio come le cimici da letto, all’ambito della gestione privata della salute. Di questa parte, molto poco entra nella sfera della rappresentanza collettiva pur continuando a toccare la sfera più sfumata della morale. Se si pensa che malattie sessualmente trasmissibili come la clamidia, la gonorrea e la sifilide affliggono più di 200 milioni di persone nel mondo e che l’AIDS conta intorno ai 37 milioni di casi conclamati, è indubbio che la rilevanza numerica e sintomatica di queste realtà passa quasi inosservata. Mentre nell’Ottocento, a seguito di ripetute epidemie di colera, si costruì il mito moderno della città pulita – dotata di reti fognarie, aerazione e smaltimento dei rifiuti – in questo secolo una stagione sembra aprirsi di crisi sanitarie più o meno mascherate, crisi in cui l’urbanistica e la biopolitica si scontrano con le istanze di privacy e autodeterminazione dei singoli individui. Come nel caso recente del vaiolo delle scimmie, sentimenti tutto sommato pacati di vergogna e imbarazzo si sostituiscono all’urgenza dell’attivismo anche di fronte a nuove epidemie nascenti.

Ricerche come quella di RM rappresentano allora il tentativo di portare alla luce gli stati non emergenziali cui è approdata la gestione di certa morbosità socialmente rilevante. In questo senso, il duo descrive un cambiamento epocale mettendo in atto meccanismi di comunicazione interclasse che dal privato di esperienze singolari giungono nello spazio dell’arte. Certo, lo spazio ancora saldamente asettico di gallerie e musei non è e non può essere l’unico orizzonte d’azione. La strategia che una volta aveva il valore di introdurre, umanizzandolo, il reietto nel perimetro dell’istituzione, oggi deve forse trovare una nuova ragion d’essere. Cosa succederebbe se i giochi a molla raffiguranti le cimici da letto invadessero i parchi giochi per bambini diventando visibili e cavalcabili? Cosa succederebbe se i banconi di Postoristoro prendessero vita come dispositivi di incontro tra balordi in un contesto di pubblica evidenza? Madrid continuerebbe a essere un mistero. Ma forse Real, il deserto del reale e del regale, ci si aprirebbe davanti agli occhi.

  • Francesco Urbano Ragazzi

RM lavorano insieme dal 2015 (prima come Real Madrid). Il loro lavoro è stato esposto recentemente allo Swiss Institute di New York e al MACRO di Roma, fra gli altri. A settembre 2022 terranno la loro prima mostra personale da Martina Simeti a Milano. Nel 2023 esporranno al Centre d’Édition Contemporaine di Ginevra e all’Auto Italia South East di Londra.

Francesco Urbano Ragazzi è un duo curatoriale fondato a Parigi nel 2008. Attraverso la piattaforma The Internet Saga, il duo ha inventato formati espositivi tra arte e realtà lavorando a stretto contatto con pionieri come Jonas Mekas, Kenneth Goldsmith, Cheryl Donegan. Dal 2017 il collettivo dirige l’archivio dell’artista femminista Chiara Fumai. Nel 2012 cura “Io Tu Lui Lei”, la prima mostra istituzionale italiana dedicata all’eredità culturale del movimento LGBTQ+. Nel 2021, con Carlo Antonelli, pubblica FUORI!!! 1971-1974 (Nero Editions), un’antologia dedicata al movimento di liberazione omosessuale. Nel 2022 Francesco Urbano Ragazzi dirige la XVII edizione della biennale delle isole Lofoten in Norvegia.

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